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Un sogno vivido di una Lettrice

Il Munaciello appare in sogno a Cermela e suggerisce un terno secco

Carmela condivide i suoi numeri

 
Riportiamo, un po’ romanzato, il sogno di una nostra lettrice che lo ha voluto condividere con tutti.
Questo quanto ci ha raccontato.
 
Il sogno di Carmela inizia in una notte tiepida, di quelle che a Napoli avvolgono i vicoli come un mantello di seta umida. L’aria sa di salsedine e di panni stesi, un misto di mare e vita quotidiana che si intreccia nei muri scrostati della città vecchia.
 
Carmela cammina a piedi nudi – lo sente, il contatto freddo e ruvido dei basoli sotto le piante dei piedi, levigati da secoli di passi. Indossa una veste leggera, di cotone logoro, che le sfiora le caviglie mentre avanza, e i suoi capelli, lunghi e neri come la pece, le cadono sul viso, mossi da una brezza che sembra sussurrare segreti.
 
La stradina in cui si trova è stretta, quasi soffocante. Le case si stringono l’una contro l’altra, con i balconi che si sfiorano, carichi di vasi di basilico e mutande stese ad asciugare. Le persiane sono socchiuse, e da qualche parte, lontano, si sente il lamento di un gatto e il chiacchiericcio di una radio che trasmette una canzone neomelodica. Carmela non sa perché è lì, ma i suoi piedi la guidano, come se conoscessero la strada.
 
Il cuore le batte piano, un ritmo familiare, ma c’è un’aspettativa nell’aria, un fremito che le pizzica la pelle.
All’improvviso, svolta in un vicolo ancora più angusto, dove la luce della luna fatica a penetrare. Qui i muri sono coperti di muschio, e l’odore di umidità è così forte che le riempie i polmoni.
 
Si ferma, incerta, e in quel momento lo sente: un fruscio, lieve come il volo di una falena. Alza gli occhi, e il respiro le si blocca in gola. Davanti a lei, a pochi passi, c’è il munaciello.
 
Non è alto, forse arriva appena alla sua vita, ma la sua presenza riempie il vicolo. Ha un cappuccio rosso calcato sulla testa, logoro e sporco, che gli copre metà del viso. Quello che si vede è pallido, quasi luminoso, con due occhi neri e lucidi come olive mature. Indossa una tunica sbrindellata, e i suoi piedi – oh, i suoi piedi! – sono scalzi, ma sembrano non toccare terra, come se fluttuasse appena sopra i basoli. In mano tiene un piccolo sacco, che tintinna leggermente, forse pieno di monete o chissà cos’altro.
 
Carmela sente un brivido salirle lungo la schiena, ma non è paura, non proprio. È qualcosa di più antico, un misto di reverenza e curiosità. Il munaciello la fissa, e per un istante le sembra che il tempo si fermi: il rumore della radio svanisce, il gatto tace, persino il vento si placa. Poi, con una voce che sembra venire da sottoterra, rauca e profonda, il munaciello parla.
 
“Carmè,” dice, e il suono del suo nome la fa trasalire, “t’aggio portato ‘na cosa.” La sua bocca si piega in un sorriso sghembo, e Carmela sente il cuore accelerare. Vorrebbe chiedere chi sia, cosa voglia, ma la lingua le si è incollata al palato.
 
Il munaciello si avvicina, e lei sente un odore strano, di terra bagnata e incenso vecchio. Le porge una mano, piccola e rugosa, e vi lascia cadere tre numeri, come se fossero sassolini: 7, 19, 42.
“Giocali a Napule,” le sussurra, e la sua voce le entra nelle ossa, facendola tremare.
 
“Ma nun te scurdà: ‘o bene e ‘o male dipendono da te.” Poi, con un movimento rapido, si volta e sparisce dietro l’angolo, lasciando solo un’eco di quel tintinnio e una sensazione di vuoto.
Carmela si sveglia di soprassalto nel suo letto, il cuore che le martella nel petto. La stanza è buia, ma il sogno è ancora vivo, così reale che le sembra di avere ancora i basoli sotto i piedi e l’odore di muschio nelle narici. Si alza, accende la luce e corre a prendere un foglio.
 
Scrive i numeri – 7, 19, 42 – con mani tremanti, perché sa che non sono casuali. Il munaciello, spirito dispettoso ma a volte generoso, le ha fatto un dono, e lei non può ignorarlo.
Nei giorni successivi, Carmela racconta il sogno a chiunque voglia ascoltarla: alla vicina che stende i panni, al barista che le prepara il caffè, ai nipoti che ridono e le dicono che è matta.
 
Ma non è solo per vantarsi: Carmela vuole condividere quei numeri. Li gioca al Lotto, sì, ma decide che il sogno non deve restare suo. “Se vinco,” dice a tutti, “sparto ‘o guadagno cu’ chi ha creduto a me.” E così, convince un amico che lavora al giornale locale a pubblicare la storia, con i numeri ben in vista: 7, 19, 42, da giocare su Napoli.
 
Perché lo fa? Perché Carmela crede che il munaciello non sia apparso solo per lei. Crede che quel sogno sia un messaggio per la sua città, un pizzico di magia in una vita fatta di fatica e speranze. E mentre aspetta l’estrazione, seduta sulla sua sedia di legno con una tazza di caffè in mano, sorride. Sa che, vinca o perda, Napoli vecchia ha ancora i suoi misteri, e lei ne è parte.
 
Napoli per ambo e terno
7.19.42

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