L’organizzazione dell’arrendamento
L’esercizio del Lotto si svolgeva attraverso la stessa procedura riguardante l’estrazione dei dazi. Esso non era gestito direttamente dagli organi amministrativi appartenenti alla Regia Corte, ma veniva concesso in appalto ai privati secondo il sistema d’arrendamento. Gli arrendatori erano degli appaltatori, con il compito assegnatogli dalla Regia Corte, di concedere ai privati il privilegio di produrre o vendere un prodotto, o di esercitare una determinata attività come appunto il gioco del lotto, la cui amministrazione, sarebbe spettata alla Regia Camera della Sommaria, poiché si trattava di un arrendamento aggregato al Real Patrimonio.
Il gioco del Lotto fu denominato di volta in volta “gioco delle zitelle“, arrendamento “seu jeus prohibendi del gioco delle donzelle di Napoli“, “Beneficiata di Napoli“, “Regia Impresa del Lotto“, “Nuovo Real Lotto“; durante l’occupazione francese poi, cessati gli arrendamenti, l’amministrazione del gioco fu denominata “Reggia del Lotto” e dopo la restaurazione borbonica “Amministrazione della Real Lotteria“.
Per l’affitto dell’arrendamento si teneva una gara che veniva aperta dai bandi emanati dalla Regia Camera in Napoli nel Regno; In quest’ultimi si fissavano le condizioni della gara, il prezzo base ed il giorno dell’asta, che aveva luogo in Castelcapuano, sede della Regia Camera Sommaria, talvolta con l’intervento del viceré; la procedura era stata instaurata con la prammatica 13 settembre 1631 emanata a Napoli da Filippo IV; l’aggiudicazione spettava al miglior offerente pervenuto all’atto in cui si spegneva la candela accesa tre volte durante la licitazione, non era però definitiva in quanto poteva essere revocata a seguito di un aumento dell’offerta dell’aggiudicazione stessa.
Abitualmente l’affitto dell’arrendamento era aggiudicato per persona da nominare: il concorrente, una volta avvenuta l’aggiudicazione, depositava la lista contenente i nomi dei caratari (soci), obbligati per le rispettive carature, e dell’impresario principale; quest’ultimi venivano accettati solo se di gradimento alla Regia Camera, la quale emetteva un decreto con cui autorizzava il deposito del capitale, pattuito a garanzia della Corte per il pagamento dell’estaglio (fitto), e dei giocatori per il pagamento delle vincite. Una volta emesso il pagamento, il Presidente della Regia Camera, con il Consigliere delegato dell’arrendamento e l’Avvocato fiscale, si recava presso la sede dell’Impresa, dove ogni anno veniva verificato il bilancio dell’arrendamento, cosicchè nel fascicolo dei conti restavano inseriti tutti i provvedimenti relativi alla destinazione, e all’impiego delle somme pagate dagli arrendatori della Regia Corte.
Il primo impresario che lo ottenne in fitto, per D.13.200 annui, fu Goffredo Spinola, il quale, ne riottenne l’affitto dal 1686 al 1691 per D.22.200 annui; In quel periodo storico il delegato dell’arrendamento era don Stefano Padiglia, Consigliere della Regia Camera, un uomo ritenuto integerrimo, ma che fu accusato di cointeressenza nell’affitto. Fu così che il Vicerè aprì un inchiesta guidata dal Presidente della Regia Camera Cortes, il quale sequestrò in casa dello Spinola i libri contabili ove erano annotate le partite di utili e le relative ripartizioni. Tra queste apparivano alcune somme corrisposte a beneficiari non specificati e si pensò fossero state percepite dal Pariglia, e per questo motivo Cortes ordinò la carcerazione dello scritturale e dello Spinola, il quale riuscì ad evitarla rifugiandosi in Chiesa per godere del “coniugio”, un tipo di immunità che spettava a coloro che, ricercati per debiti o delitti, si rifugiavano in Chiesa e non potevano essere arrestati nel luogo sacro con violenza, atto punibile con la morte. L’affitto su risolto a danno dello Spinola e, a seguito di nuova gara, l’affitto fu aggiudicato a Lodovico Brunelli per D.24.300 annui.
Dal 1688, per le conseguenze del terremoto del 5 giugno, il gioco rimase abolito fino al 1712, anno in cui fu aggiudicato l’affitto quadriennale a Giovanni Crisci e Aniello di Martino per D.32.325 annui. Nello stesso anno però, in seguito ad un aumento dell’offerta da parte di Giacinto Antinori e soci, l’affitto passò al su scritto, il quale ne fu affittuario per il quadriennio 1714-1717. Negli otto anni successivi fu aggiudicato a Domenico Angioletti che per il primo quadriennio lo tenne in società con Bernardo Francese e Bartolomeo Mercati; nel 1725, tuttavia, proprio alla scadenza dell’affitto, Benedetto XIII condannò il gioco del Lotto con l’emanazione di due bandi: uno del 2 marzo e l’altro del 18 settembre, che comportò la perdita immediata di offerenti disposti a concorrere alle stesse condizioni dell’affitto precedente. Per questo motivo l’Angioletti chiese ed ottenne dalla Regia Camera, una clausola all’interno del contratto d’affitto, in cui si annotava una garanzia in caso di perdita; Il 14 ottobre 1726 Benedetto XIII, emanò un terzo bando penale contro i giocatori del Lotto, ed il 12 agosto 1727 procedette addirittura alla scomunica. Tutte queste azioni perpetrate dal pontificato, causarono gravi riscontri nel Regno di Napoli, tanto che l’Angioletti non se la sentì di rinnovare l’affitto, cedendo il posto a Lodovico Paglierini e Filippo Chiozza , contro cui fu avanzata un’offerta di aumento da parte di don Paolo Montini.
Con l’arrivo di Carlo di Borbone a Napoli, il Montini chiese ed ottenne dalla Regia Camera la sospensione del gioco; durante il periodo borbonico si tentò, senza risultato, di tornare al sistema dell’affitto, ritenuto finanziariamente dannoso, poichè, essendo forestieri molti degli impresari e dei caratari, la valuta del Regno defluiva all’estero. Solo durante l’occupazione francese il gioco fu dato nuovamente in affitto a Carlo Emanuele Guebard per il periodo dal 1807-1813 con estaglio annuo di 286.000 ducati, ma l’esperimento si rivelò disastroso sia per l’arrendatore che per il Fisco: il contratto fu anticipatamente risolto nel 1810 e il Lotto fu nuovamente demanializzato.
Fonte: http://www.istitutobancodinapoli.it/IbnafWeb/showpage/1